Nella circostanza dell’importante mostra a Milano presso Palazzo Reale”Simbolismo. Arte in Europa dalla Belle Époque alla Grande Guerra” sino al 5 giugno 2016, riproduciamo uno stralcio del testo “L’opera religiosa di Gaetano Previati”:
“Gli avvenimenti dell’esistenza di Gaetano Previati sono tutti nelle opere sue. La queta, modesta esistenza, rotta da fatti dolorosi e intimi, fu soltanto segnata, come per molti degli uomini più profondi dell’umanità, dalla sua produzione, che esprime tutti i rivolgimenti del suo animo, l’ansia sua continua di perseguire forme che meglio rispondano ad una visione difficilmente pensata, penetrata attraverso pene di elaborazione spirituale. Per la sua arte fu un uomo fuori della vita. Considerò le cose da lontano, fervendo col suo pensiero il lavoro onniforme della grande città di Milano, che si agita presso lo studio dove da molti anni lavora, in cospetto della mole del Duomo.
Per comprenderlo vale rifare la sua educazione artistica.
Egli nacque a Ferrara da Flaminio, modesto orologiaio, e da una donna di alto sentire, Isabella Bonlei, di famiglia che rivendicava qual suo fondatore quel Childeberto Buglione che venne di Francia nel 1216 con mille lance, travagliando assai Azzo d’Este, e tra i discendenti del quale fu pure il Bonleo che l’Ariosto ricorda nella satira quinta. Ma non da essa potè trarre insegnamenti ed immagini l’artista. Egli si foggiò meglio accanto a Cornelia Facchini che, al padre di Gaetano da novello matrimonio congiunta, ebbe per il giovinetto squisita tenerezza. E nella città sottoposta al governo papale, piena di conventi e di chiese bellissime, essa educò l’animo del futuro pittore ad una religione profonda e raccolta. Dipinti e stampe incorniciate, libri ed oggetti devoti, una statua della Madonna tutta a colori, porgevano una continua serie di immagini religiose che si ripercuoteva nello spirito suo per uno squillare mistico di campane che a lui giungeva dalla vicina chiesa dell’Amore.
Giovinetto, fu attratto dal fascino di quelle visioni insieme a quegli ammaestramenti che dalla scuola, dal luogo, sonante di memoriee splendido delle bellezze artistiche del castello, di San Domenico, del Duomo, dei palazzi di Schifanoia, de’ Roverella, de’ Scrofa Calcagnini, dalla vita militare e dalla scuola d’arte gli venivano ampie e possenti.
Il suo primo periodo d’arte ispirato da Giuseppe Bertini, che gli fu maestro all’Accademia milanese, del quale non tutto il male che s’è detto corrisponde a precisa realtà, chè egli ebbe visione nitida e non di rado efficace dell’arte , indulge alla pittura di moda e, dal 1880 anno in cui espose a Torino il grande quadro del “Cesare Borgia a Capua” fino al 1891 in cui espose a Milano la squisitissima “Maternità”, egli produce opere d’impronta risolutamente personale, che sanno gli accenti di una verità ricostrutta penosamente nel proprio animo, che sono sforzi per una liberazione geniale, che sono ansimare di ricerche tecniche spirituali.
Dagli “Ostaggi di Crema” oggi a Brera (1879), livida apparizione di dolore, quest’ansia si perpetua nella “Pia fanciulla dei tempi barbarici” nello “Sciesa”, nel “Carlo Alberto” nelle “Fumatrici di Haschisch” ne’ quali quadri, alle formule concrete del Bertini, fa seguito un sensibilizzarsi cremoniano che si diffonde inntinte violacee di chiaroscuro, in sapienti giochi di luce. Spesso, in tal epoca, la sua espressività rimane come soffocata in iscenette settecentesche, in figure di armigeri del cinquecento, di duellanti, in iscene di pastorelle, che formano il sustrato realistico dell’opera sua, e dal quale rifugge presto, pur operando sotto questo impulso il quadro del “Re Sole” i cui erompe tutta la sua smania di esprimere figurazioni che abbiano un contenuto d’idealità.Ed egli stesso dichiara che il suo “Luigi XIV” non è l’uomo della Mancini, della Vallière, della Montespan e della Maintenon, e che nell’ambiente del quadro non ricorda il lusso fantastico di S. Cloud o di Vaersailles, ma si sforza di dar forma concreta alle parole con cui Voltaire spiegava di voler dare nella Storia del secolo di Luigi XIV “non les actions d’un seul homme, mais l’esprit des hommes dans le siècle le plus éclairé qui fût Jamais”.
Da questa stessa intenzione nacque il sogno delizioso del “Viaggio nell’azzurro”, due sposi che, in una berlina signorile, portano la fiamma che li unisce, in un’epoca lontana fatta di gentilezze.
Il periodo di trasizione assume gli aspetti più copiosi. La pittura storica, quale era stata compresa dal Previati nel suo vero senso, che non è di rendere i dettagli dell’erudizione, dell’archeologia e dell’etnografia , ma di rappresentare , con forte e suggestivaevidenza, attraverso la mano e la mente del pittore, ciò che le pagine di storia ci rappresentano per altre vie, si allontanò del tutto da lui, come, un poco, dall’età nostra. Le sue creazioni muovono invece a ricercare il fascino di melodiche passioni umane. E così nasce quel suo delizioso “Notturno” in cui la donna, sperduta nella balaustrata che taglia il cielo vibra di un attimo di sognata dolcezza.
Allora la tecnica divisionista guadagnò il Previati. Egli trovò la tecnica più profonda, più vera, più adatta alle grandi cose che maturavano in lui.
Dalla rappresentazione della vita volle assurgere alla rappresentazione delle immagini, delle idee che il suo pensiero, eminentemente pittorico, vedeva concretarsi in forme decise. Il bisogno suo d’artista,di vedere e d’intendere le cosecome luce e come forma gli fece comprendere nella tecnica del Segantini una maniera nuova d’intendere che materiava la luce. La luce del Segantini, la mutò poi, ma con essa, il suo pensiero trovò il modo della sua espressione ed il suo tormento di ricercatore, fisso in idealità lontane, si affinò. Morì in lui l’uomo antico……….”