di Marilena Pirrelli da Il Sole 24 ore, 21 agosto 2015
Investire in un bene reale può rappresentare una diversificazione di un portafoglio finanziario. E l’arte con un suo mercato sempre più ampio e globale è un’alternativa da prendere in considerazione: soprattutto, in periodi di crisi economica rappresenta un “magazzino di valore” e una ripartizione del rischio. A lungo l’opera d’arte è stata proposta come bene rifugio e dal 2013 il confronto con l’oro mostra due trend opposti: l’arte sale, l’oro scende. Ma non bisogna nutrire eccessive speranze perché se le opere di qualità dei vari periodi storici battono nel tempo l’inflazione non sempre superano i mercati azionari: l’indice MeiMoses®world all’art delle opere tornate almeno una volta in asta dalla fine del 2013 è stato battuto dall’S&P500 TotalReturn e solo a maggio ha avuto un rialzo del 54%. Di sicuro bisogna arrivare preparati all’acquisto, perché le variabili da considerare sono parecchie e non tutte prevedibili, poiché l’aspetto e quello legato al gusto rappresentano una quota parte della formazione del suo prezzo. In una buona allocazione dei propri investimenti bisogna prevedere anche una diversificazione delle opere per genere e tipologia. «Ma non bisogna confondere – spiega Roeland Kollewijin, art advisor nell’antico di Vasaris srl – l’arte è un asset,solo alcuni artisti possono funzionare come asset class». Perciò, sebbene il mercato dei capolavori prosegua la sua corsa senza fine, soprattutto nell’arte del dopoguerra in quella contemporanea, è bene osservare che i prezzi medi in asta dal 2007 al 2014 sono scesi del 5,9% a livello globale, del 19,6% nella Ue e sono crollati del 67,9% in Italia. A saper cercare è un buon momento per entrare, magari selezionando gli artisti con un potenziale di rivalutazione. Anche perché la disponibilità di maggiori informazioni rendono più trasparente un settore tradizionalmente opaco. L’ingresso peraltro di investitori istituzionali – dalle corporate collection ai fondi d’investimento – stanno rendendo più maturo e più strutturato il mercato, riducendo i potenziali conflitti d’interesse. Le previsioni per il futuro sono ancora buone, in particolare, per le opere italiane del dopoguerra, considerando un orizzonte d’investimento minimo di almeno cinque anni. Naturalmente, oltre al buon prezzo che rende appetibile l’acquisto/investimento di un’opera, vi sono altri aspetti che vanno osservati: la provenienza e l’autenticità, la fima, gli interventi di pulizia e restauro, l’ottimizzazione dei trattamenti fiscali e assicurativi, le clausole collaterali nei contratti di vendita (buy back o sistituzioni) e l’assistenza in fase di negoziazione, la gestione dei servizi correlati come l’art law, i trasporti, la sicurezza, lo stoccaggio, le pubblicazioni e le mostre. Insomma l’arte non ha solo costi d’ingresso in portafoglio, ma ha anche oneri di gestione se non si vuole veder decadere il valore d’acquisto del bene. E, oltre alle spese di manutenzione, ha costi di liquidazione molto alti: mediamente il 10-15% per polizze, commissioni d’asta, intermediari, consulenze e trasporti. Se tutto va bene.