Con oltre 170 opere provenienti dalle collezioni di tutta Europa (Boccioni, Casorati, Cavalieri,Chini, Nomellini, Viani etc.), la mostra approfondisce un periodo storicamente complesso in Italia come quello dell’età giolittiana – dai primi anni del Novecento allo scoppio della Grande Guerra – in cui rivendicazioni sociali e politiche si intrecciano all’esigenza di un profondo rinnovamento in campo culturale.

Di seguito riportiamo alcuni passi tratti dal volume “Felice Casorati” di Albino Galvano, Ulrico Hoepli, Milano, 1947:

 

Casorati pittore è stato per molti della mia generazione una esperienza di importanza capitale in ordine alla formazione del gusto e all’orientamento di una cultura non soltanto limitata a fatti di specie figurativa. La pratica di discepolato presso di lui e la frequente consuetudine di Casorati uomo hanno valso ad alcuni di noi come un’esperienza fra le più profonde e decisive anche per quanto riguarda la vita morale. E se la valutazione di tali cose esula dal campo di uno studio critico sul pittore non è men vero che l’opportunità di controllare continuamente quanto avremo a dire sul modo in cui conviene, secondo il nostro punto di vista, accostarsi all’opera del pittore Casorati, al metro di quella personale esperienza, è una delle pochissime ragioni per farci persuasi che il riprendere ancora una volta la parola a guida di quelli che sfogliano una raccolta di riproduzioni di suoi quadri, non debba necessariamente risolversi in uno sterile commento soggettivo o nella ripetizione di interpretazioni che anche senza le nostre note non sfuggirebbero forse all’attenzione di chi a quell’opera si accosti con amore. Ma gli è che Casorati è uno di quei pochissimi artisti in cui l’ “anima” non resta inferiore allo “spirito” in cui una parola, l’uomo psicologico e morale raggiunga colla sua statura il limite oltre il quale l’opera incomincia e che alla comprensione di quell’opera possa giovare perciò conoscere; anzi possa servire come di primo e miglior introduttore : quale accorto critico di se stesso.

Una reminescienza platonica che, quasi per associazioni di idee, ci suggerirà subito la prima definizione della sua arte, qui ci soccorre. E’ del “Fedro”. ” E colui che senza un siffatto furore picchia alla porta delle muse, persuaso che basti l’artificio a renderlo poeta non conseguirà l’intento…”. Ecco: Casorati è uno di quei pochissimi artisti che dopo il rapimento delle muse non rimangono incoscienti di quanto in loro è avvenuto; lo capiscono ed aiutano a capirlo gli altri.

E infatti se dovessimo trovare una parola per definire il gusto di Casorati preferiremmo a ogni altra quella di “Platonismo”. Altra volta Casorati ebbe a scrivere che in contrapposizione all’arte del suo tempo che amava dipingere l’apparenza delle cose, egli intendeva dipingerne la verità. Era una eresia estetica, e non la troverete nei più tardi scritti del pittore, coltissimo, perfettamente a posto, ed a ragione, colla crociana negazione dell’esistenza di una esterna natura che possa dall’artista essere colta nella sua apparenza o in una sua verità, che se poi ci fosse sarebbe inconoscibile e peciò irrappresentabile. Ma se Casorati ha avuto ragione di correggere le prime ingenuità teoriche, credo che esse restino però testimonianze valide del suo gusto intimo che non ci può essere rivelato da posizioni speculativamente giuste, appunto perchè la loro giustezza non consiste in altro che nell’essersi purificate da tutto ciò che non era universalità di pensiero ma soggettività di sentimento. E per designare il contenuto di questo sentimento mi pare che la parola platonismo vada benissimo, se si riflette come l’errore platonico consistesse nello sdoppiare l’apparenza in un mondo sensibile e in un mondo “della realtà” che doveva anch’esso appartenere poi all’apparenza, cioè al fenomendo dal momento che era conosciuto e che se ne poteva parlare, e che tuttavia all’apparenza sensibile si contrapponeva, proprio come si contrappose la pittura di Casorati ad un più o meno degenere impressionismo di sfarfalleggiamenti colorati di indecisione ottica, di ricerca del movimento nel vibrare continuo della luce, con i suoi caratteri di immobilità, di impassibilità, di contorni decisi, di “forma”: la parola che più spesso viene usata per definire la pittura di Casorati e che è anche quella che Platone volentieri adoperava ad esprimere l’Idea (morphè) già prima che Aristotele ne negasse la trascendenza e la ancorasse nel sinolo. Al Protagorico impressionismo per cui misura di tutte le cose è l’uomo individuale, si contrappone dunque il Platonico Casorati richiamandoci all’ordine di una pittura dove le cose appaiono reali in quanto hanno la maneggiabilità di ciò che dal flusso delle sensazioni è ritagliato per opera dell’intelletto. Scodelle o uova, teste o seni  varranno come categoria.

Casorati ha goduto di un momento di fortuna quando la sua pittura, forse proprio perchè meno urtante a prima vista di quella di altri pittori di avanguardia, ebbe tutti i suffragi e specialmente quelli della critica che voleva essre alla pagina, ma salvando il rispetto per la tradizione. Casorati era un pittore che ispirava fiducia, che sapeva ben disegnare, le cui deformazioni si potevano malgrado tutto spiegare nei termini di una stilizzazione letteraria, di cui era possibile l’interpretazione in senso neo-classico. Erano i tempi in cui la pittura del novecento appariva come uno sforzo neoclassico in polemica con l’arte futurista da una parte, con l’anedottismo elegante dall’altra, e la pittura di Casorati sembrava fatta per appagare quell’antifilisteismo così ingenuo, compassato e superfilisteo che, se ebbe una sua funzione in Italia per liberare il medio pubblico dagli entusiasmi per Grosso, per Sartorio, per Dall’Oca Bianca, non andò più in là, anzi si allarmò quando si accorse che si trattava di ben altro che di ritrovare il mestiere del Rinascimento frainteso attraverso l’insegnamento dell’Accademia, di tutt’altro che di sostituire la retorica del neoclassicismo salottiero a quella della pittura buona a tutto fare che aveva imperato sino ad allora. Casorati si trovava in una posizione equivoca: esaltato da Ugo Ojetti e insieme dagli ammiratori primi dell’impressionismo francese e teorici del “gusto dei primitivi”. Poi l’impressionismo prevalse e malgrado che i suoi corifei critici si ponessero in opposizione alla vita spirituale italiana i giovani pittori ne sconfessavano le convinzioni politiche, ma per dipingere si ricordavano di Manet, di Renoir e di Cézanne e se per questa via giungevano a rifare Paolo Uccello o Masaccio non per ciò ostentavano meno disprezzo per una esperienza vecchiotta, come quella di Casorati appariva; l’ammirazione dei molti critici moderati sparsi per i quotidiani d’Italia nessuno di noi gliela sapeva perdonare, anche se Casorati ci assicurava di litigare con loro; ed intanto così, fra l’ammirazione in omaggio  al neoclassicismo e la riserva in odio ad esso, ciò che vi era di veramente vivo, di veramente casoratiano in quella pittura finiva per scomparire agli occhi di tutti, tranne a quelli del pittore, che seguitava serenamente il suo lavoro. Seguitavano anche i fraintendimenti, ed un altro dei luoghi  comuni della critica casoratiana divenne  quello che la maggior pittoricità che si notava nei suoi quadri dopo il 1929 fosse da attribuirsi ad un rinnegare le ricerche formali per il colore, sotto la spinta del trionfo del nuovo gusto. Chi pensava questo dimenticava che solol’equivoco della critica che aveva l’occhio al neoclassicismo, per accettarlo o per rifiutarlo, aveva creato il pregiudizio di Casorati pittore esclusivamente formale e che se il colore che ora accendeva di sè la pittura italiana aveva esercitato una qualsiasi influenza su Casorati, questa poteva essere solo condizione per liberarlo da ogni perplessità nel riconoscere la funzione capitale di una esperienza tonale ai fini di quello che egli, come critico di se stesso, poteva dire il proprio formalismo; e per farlo persuaso della opportunità di scavare in profondità nel fatto pittorico per rendere quel formalismo più certo e schietto attraverso un abbandono all’emozione tonale che lo aveva generato. La forma colle larghezza di piani, col pacato stendersi di volumi che essa consente, è necessaria al tono perchè questo possa raggiungere il massimo potenziametno attraverso il gioco dei campi aperti al colore. Non vi è pittura più antitonale di quella che presenta superfici irritate dallo spesseggiare delle pennellate. E ciò che importa nel passaggio dalla pittura di Casorati del periodo giovanile a quella del periodo più noto è proprio il sostituirsi di forme “larghe” a forme “gracili” in una pittura ed in un modo di sentimento da essa sotteso, non sostanzialmente diversi, al fine appunto di trasformare il colore da una aggiunta estrinseca nell’ultima ragione della pittura stessa. E si capisce che il colore abbia finito per sciogliersi anche dalla ingabbiatura geometrica per passare al più fluido stato in cui non si è ancora raggelato in teorema man mano che il progressivo esplorarsi interiore di Casorati lo abbia riportato al punto originario in cui l’emozione si fa forma e dato pittorico.