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Silvestro Lega nacque a Modigliana (Forlì) nel 1826.
“Tra le più potenti individualità del nostro tempo”, così un critico finissimo come Diego Martelli si pronunciò a proposito di Silvestro Lega e, andando oltre al giudizio dei suoi stessi compagni nonché primi biografi, ne riconobbe appieno la complessa e tormentata personalità presagendone la “gloria”, una volta mutati i gusti dei più “per evoluzione di progresso”.
Riconoscimento che, purtroppo, in vita sarà sempre negato al “povero Vestro” anche se, ricevuta un’educazione classica presso gli Scolopi, ben presto manifestò la vocazione artistica tanto da essere accompagnato dal padre a Firenze per iscriversi all’Accademia di Belle Arti.
Qui, dal ‘43, iniziò a seguire le lezioni del professor Benedetto Servolini.
Passò poi sotto il livornese Tommaso Gazzarrini e, infine, per un breve periodo, sotto Giuseppe Bezzuoli.
Abbandonata intanto, per il difficile carattere della cognata, l’abitazione del fratellastro Giovanni, lasciò l’Accademia, eccetto la Scuola del nudo.
Prese quindi a frequentare la scuola privata di Luigi Mussini.
Da questo trasse, oltre che una grande passione per l’arte, la formazione purista, basata soprattutto sullo studio dei grandi maestri del Rinascimento.
Patriota e attivista convinto, Silvestro Lega nel ’48 si arruolò tra i volontari toscani.
Al ritorno a Firenze frequentò, tra la fine del ’49 e l’inizio del ’50, la scuola di Antonio Ciseri.
Sotto la sollecitazione del maestro, iniziò a dipingere L’incredulità di San Tommaso, rivelando un’impostazione di stampo prettamente romantico.
Nel ‘52 espose alla Promotrice di Firenze Velleda ispirato ai martiri di Chateaubriand.
Nello stesso anno, con David che placa Saul al suono dell’arpa, vinse il Concorso Triennale dell’Accademia.
Prese parte alle riunioni del Caffè Michelangiolo non nascondendo però, dapprincipio, una certa diffidenza .
Forte dunque del profondo radicamento alla formazione accademico-purista nelle opere di questo periodo si mantenne fedele a un impianto compositivo solido e rigoroso.
Questo è evidente già nel Ritratto di signora in piedi e in quello del Fratello Ettore fanciullo, dove pare essere recuperata la tradizione fiorentina manierista del disegno.
A queste due opere si aggiungano le prime due lunette commissionategli nel ’58 per l’oratorio della Madonna del Cantone di Modigliana e Bersaglieri che conducono prigionieri austriaci, esposto alla Promotrice di Firenze del ’61.
Fu invece con il quadro Imboscata di bersaglieri italiani in Lombardia, presentato alla prima Esposizione Italiana che manifestò le prime avvisaglie di un radicale mutamento.
Nei dipinti successivi si assiste, infatti, ad un progressivo allontanamento dai modi del maestro e a un’adesione sempre più convinta alla nuova poetica macchiaiola che si paleserà nelle ultime due lunette eseguite, nel ‘63, per l’oratorio di Modigliana, riguardo alle quali lo stesso Lega confessò “fu in queste tele che cominciai a scordarmi di Ciseri e fare da me”.
Dal ’62 intraprese con Signorini, Borrani, Sernesi e Abbati una serie di studi en plein air nella campagna di Piagentina, ospite della casa sull’Affrico di Spirito Batelli.
Legatosi sentimentalmente a Virginia, la maggiore delle cinque figlie di quest’ultimo, ne fissò la figura in alcuni dei suoi più noti capolavori.
Ricordiamo infatti L’educazione al lavoro, L’elemosina, La visita in villa, Il canto dello stornello e Un dopo pranzo.
E’ in opere come queste che, con “soave maniera descrittiva e politezza formale” per dirla con il Cecchi, egli offrì, nei soggetti più ricorrenti dei suoi quadri, soprattutto donne riprese in intimi ambienti domestici, lo spaccato di una società che tentava di riscattarsi dalla una condizione di disagio cui per lungo tempo era stata soggetta.
Nel ’70, con la morte di Virginia, seguita ben presto da quella degli altri membri della famiglia Batelli, Lega piombò in uno stato di profondo sconforto.
Non smise però di dipingere realizzando , nel ‘72, Le bambine che fanno le signore, dove sembra di scorgere una citazione, sia pure inconscia, da Las Meninas di Velázquez.
Con questo dipinto ottenne la medaglia d’argento all’Esposizione di Parma e un riconoscimento a Vienna l’anno successivo.
Diagnosticatagli però una malattia agli occhi e colpito da gravi lutti familiari, dal ’74 non partecipò ad alcun’esposizione.
Questo periodo di completa inattività fu interrotto soltanto dall’iniziativa (fallimentare) intrapresa con Borrani di una galleria d’arte moderna.
Fu soltanto dopo aver riacquistato un certo equilibrio grazie all’amicizia con i Tommasi, che, dal ’78, Silvestro Lega riprese a dipingere.
Aggiornatosi sulle novità della cultura internazionale,mise nelle tele una “serena gaiezza” di colori e una resa immediata dell’immagine, vicina a certi quadri impressionisti.
Nell’86, per il tramite di Angiolo Tommasi, conobbe la famiglia dei Bandini con i quali instaurò un duraturo legame, iniziando alla pittura le due ragazze più giovani di casa e frequentando la loro villa di Poggio Piano al Gabbro sopra Livorno.
Qui, profondamente affascinato dalla bellezza di quei luoghi dipinse a sintetiche macchie di colore una serie di quadri di forte intensità emotiva.
Questi raffiguravano paesaggi del Gabbro, scene di vita locale e ritratti di popolane psicologicamente indagate nella loro femminilità più intima.
Ben presto, però, col peggiorare della vista, rallentò il lavoro compromettendo la propria situazione economica e chiudendosi in un progressivo isolamento.
A ciò si aggiunse, nel ’92, una grave malattia allo stomaco.
Silvestro Lega morì nel 1895 all’Ospedale fiorentino di San Giovanni di Dio.
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