di Giovanni Pellinghelli del Monticello, da Il Giornale dell’Arte, gennaio 2015
Ha suscitato commenti disparati: da Jacques-Emile Blanche: «Giovanni Boldini incarna il genio vibrante e facile, la maestria posta al miglior servizio del piacere dei sensi» (1931), a Cecil Beaton: «Per quanto pieno di piaggeria sia stato il suo lavoro anche il più insopportabile dei ritratti di Boldini rivela il suo immenso diverrtimento» (1955), a Bernard Berenson: «Era l’artista più chic quando ritraeva come sotto in vetro traslucido allungate figure di signore del Bel Mondo internazionale. Interpretava al meglio l’eleganza femminile dandole pose ambigue fra salotte e teatro. Quei ritratti dal forte potere d’incanto rivelano spontanee e sicure doti di pittore» (1959). Giovanni Boldini (1842-1931) resta pittore di fascini estremi, facinorosi di polemche (fra i suoi non estimatori, ad esempio. il conterraneo Filippo De Pisis) e conosce in anni recenti una speciale fortuna espositiva. Lo conferma «Boldini. Lo spettacolo della modernità», a cura di Francesca Dini e Fernando Mazzocca, mostra che i Musei di San Domenico a Forlì gli dedicano dal primo febbraio al 14 giugno. L’estro creativo e sperimentale di Boldini transitò dalla provincia nebbiosa di Ferrara ai bagliori di Parigi fin-de-siècle creando col percorso fra Macchiaioli e postimpressionisti quella poetica personalissima fatta di specularità sociopsicologica fra artista e committenza ( a cui Bolini offrì proprio la rappresentazione «divinizzante» a cui aspirava) e ricerca della perfezione emotiva dell’immagine (e «imaginifica» fu la sua pittura come la poesia del contemporaneo D’Annunzio). Ogni dipinto è uno studio minuzioso per raggiungere la perfetta vibrazione formale: persino quei tipici colpi di pennello (rapidid e taglienti come «sciabolate»), che imprimevano tensione, movimento e torsione ai suoi modelli per esaltarne il fascino. O a crearlo, laddove (spesso) mancante. Grazie alla ricerca di Francesca Dini, la rivisitazione della vicenda pittorica di Boldini ne approfondisce, accanto ai dipinti, la produzione grafica (disegni, acquerelli e incisioni) e presenta anche opere inedite sia pittoriche sia, soprattutto, grafiche. In quest’ottica, fulcro della mostra è la riconsiderazione della prima stagione di Boldini , quella antecedente alla più nota attività parigina: gli anni dal 1864 al 1870, trascorsi a Firenze nell’ambito dei Macchiaioli e caratterizzati dalla produzione di piccoli dipinti e ritratti. Articolata per sezioni, la mostra si apre con la sua biografia per immagini, ritratti e autoritratti. Si prosegue attraverso i ritratti di amici e collezionisti (Telemaco Signorini e Diego Martelli in primis) della stagione macchiaiola e poi il primo periodo parigino con paesaggi e scene di genere di piccolo formato, segnato dallo stretto legame con l’influente mercante d’arte Adolphe Goupil, fino al confronto diretto con gli artisti italiani come lui attivi a Parigi: De Nittis, Corcos, De Tivoli e Zadomeneghi. Infine la ritrattistica, che lo consacrò superstar internazionale del «ritratto mondano». E qui, a chiusura del percorso, una gourmandise da intenditori: per la prima volta il confronto iconografico e stilistico fra i ritratti boldiniani e le opere dell’altrettanto mondano (seppur oggi meno noto) pittore e scultore Paolo Troubetzkoy (1866-1938), principe russo metà americano e italiano per nascita, vissuto e formazione artistica.