di Marilena Pirrelli, da Il Sole 24 Ore , 9 maggio 2017
La flessione a 56,6 miliardi (-11%) nel 2016 degli scambi globali di arte (Art-Basel-Ubs-Arts-Economics) non ha impressionato nessuno. Era atteso un sano riposizionamento del mercato, che avrebbe dovuto restituire equilibrio in alcuni segmenti più speculati nel contemporaneo, adeguando l’offerta alla domanda. E così è stato visti i risultati sin dall’inizio di quest’anno con le buone performance delle aste serali con tassi di venduto che hanno sfiorato il 90% in valore con record come quello di Gustav Klimt e il buon andamento degli scambi dei galleristi nelle principali fiere (Tefaf-ArcoMadrid-Armory Show-ArtDubai-ArtBasel Hong Kong-Miart-Frieze NY). E’ migliorata la liquidità delle opere su un mercato nuovamente predisposto all’investimento entro giuste stime.
In quest’epoca di tassi bancari negativi o quasi, l’arte è per molti, privati ed istituzioni, un’alternativa d’investimento competitiva e per chi vende opere di qualità un buon momento per vedere riconosciute le aspettative di rendimento. La pressione degli ambienti finanziari si avverte a tutti i livelli del mercato dell’arte: le grandi banche come Ubs, Deutsche Bank, Citibank e JP Morgan sono i potenti partner dei grandi eventi dell’arte – come fiere, biennali , esposizioni e premi – che influenzano la quotazione degli artisti e spesso sono anche i prestatori alla base di operazioni di compravendita. Così come le multinazionali, soprattutto del lusso e delle auto, ridanno lustro alla propria immagine sostenendo produzioni artistiche o creando nuovi spazi espositivi, come la Fondazione Louis Vuitton e il futuro museo della Bourse de Commerce di Parigi voluto da Francois Pinault , patron anche di Christie’s.
La relazione poi sempre più stretta tra biennali d’arte, musei e gallerie commerciali chiude il cerchio. Sapere che il sistema finanziario influenza il mercato dell’arte e che quest’ultimo “muove” il sistema dell’0arte restituisce quel po’ di consapevolezza e trasparenza ancora per tanti versi rara, fortemente richiesta da appassionati d’arte, collezionisti e investitori.
“Rispetto agli investimenti tradizionali, finanziari o immobiliari – spiegano da Artprice, banca dati d’asta fondata e presieduta da Thierry Ehrmann- l’opera d’arte presenta non solo un valore estetico ma anche la possibilità di rendimenti competitivi. L’elevata volatilità dei prezzi, che sembra conferire a questo investimento un rischio eccessivo, può essere controllata”, assicurano da Artprice. In realtà, sarebbe consigliabile avere maggiore prudenza e coltivare meno certezze. Ma vediamo qualche esempio. Sulla base di più di 3.900 lotti posti in asta, Artprice ha valutato una redditività dell’investimento (Roi) media del +88% , per il possesso medio per 11 anni, pari ad una progressione annua del +5,9% Sul campione esaminato Artprice registra una variazione di prezzo negativa del 45% delle opere. Non è poco e qui fa premio la prudenza. “Fortunatamente , i ricavi (quando ci sono, ndr) compensano in ampia misura le perdite – assicurano gli analisti di Artprice-. Condizione necessaria, però, è costruire una collezione articolata, diversificando gli acquisti (per artisti e periodicità nell’arco della storia dell’arte, ndr) per ridurre il rischio globale e di approfittare della crescita generale dei prezzi nel lungo termine.”. Gli esempi osservati nel 2016, consentono di cogliere qualche trend: record con l’opera “La Meule” di Claude Monet aggiudicata per 4,8 milioni di dollari nel 1990, a quasi 12 milioni (+150%) nel 1999, ha raggiunto la vetta di 81,5 milioni ()oltre +579%) nel 2016, la migliore vendita in asta dell’anno. Ancora “Girls on the bridge” di Edward Munch venduta per 7,7 milioni di dollari nel 1996, poi per 30,8 nel 2008 h atoccato i 54,5 milioni di dollari nel novembre 2016 da Sotheby’s (oltre il 600%). Naturalmente questi sono gli ottimi risultati di capolavori impressionisti e moderni. Buon momento anche per l’Optical Art: “Rhombus-C (1968) di Victor Vasarely acquistato a 14.700 dollari nel 2004 da Farsetti a Prato re rivenduto più tardi a Vienna, da Dorotheum, per 106mila dollari, ha moltiplicarto di oltre sette volte il suo prezzo d’acquisto. “Ballet blanc” (1998) di George Condo, acquistato nel 2003 per 14.300 dollari da Christie’s New York e scambiato da Sotheby’s nella stessa città, a settembre 20165, per 200mila dollari ha reso al suo collezionista un rendimento annuale del +22%. La tela “Another Place” (1959)di Richard Smith (1931-2016) acquistato da Christie’s Londra a marzo 2006 per 2.700 dollari e venduto lo scorso novembre per 44.000 da Sotheby’s Londra ha registrato nel decennio una plusvalenza del +1500%, approfittando del risveglio del mercato dell’artista all’annuncio della sua scomparsa il 15 aprile 2016: quest’anno i lotti venduti sono già triplicati.
Le performance, naturalmente, si possono monitorare solo per le opere che tornano in asta, per il resto si fanno analisi comparate. Al di là dei casi di successo, l’incertezza degli investimenti sul mercato dell’arte pè legata all’evoluzione delle scelte sul lungo termine. Se le variazioni dei prezzi sono relativamente deboli nel corso dei mesi, i valori possono impennarsi o crollare in uno o più decenni. E si può finire nella polvere come nel caso di “From the Series of Office Affairs”(2008/09) di Vassilly Tsagolow (1957) acquistato da Phillips Londra nel 2009 per 54mila dollari e rivenduto dalla stessa casa per 1.700 il 13 aprile 2016 con un tonfo del 97%. Un caso tra i molti.