di Francesca Bonazzoli, da Corriere della Sera 25 marzo 2014
L’anno scorso, mimetizzate fra le centinaia di opere esposte nei 5.500 metri quadri di miart, c’erano anche le tre del ventisettenne colombiano Oscar Murillo, in vendita presso una galleria londinese. Ognuna costava fra i 20 e i 30 mila euro, ma solo qualche mese dopo, le quotazioni di Murillo hanno avuto un exploit in asta a New York arrivando ai 300 mila euro.
Questa storia ci serve per dire due cose: la prima è che Milano è tutt’altro che una piazza secondaria come erroneamente suppongono gli snob che vanno a fare acquisti a Frieze (spendendo di più); la seconda è che coloro che hanno comprato il suddetto Murillo (fra i quali un milanese) non sono stati lungimiranti o sapienti, ma semplicemente fortunati e che quella stessa fortuna può venire a mancare magari fra due anni, dovesse Murillo cadere in disgrazia negli insondabili capricci del gusto.
L’arrte, contrariamente a quanto afferma la retorica della vulgata, non è infatti né un valore assoluto né solido. E’ invece tanto labile quanto il gusto e quanto una speculazione finanziaria su cui nessuno, nemmeno il più ferrato dei broker potrebbe scommettere sul lungo termine. Troppe sono le variabili, comprese quelle psicologiche, che influiscono sui mercati. Chi può essere certo di come sarà per esempio il cambio euro dollaro da qui a due anni, con in mezzo le elezioni europee, turche, americane, la crisi ucraina, siriana, il prossimo crollo dell’Argentina e via dicendo?
La stessa incertezza aleggia sul mercato dell’arte. Se si compra per speculare si rischia. Ma se invece si compra perché ci si innamora di un’opera così tanto da volerci condividere la casa, allora la scelta sarà giusta. Perché saremo felici e magari, in seconda battuta, anche economicamente fortunati.